Ma io vi avverto che vivo
per l’ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò la gente,
e non visiterò i sogni altrui
con un gemito insaziato.
Questo libro che Paolo Nori stesso definisce un romanzo è tante cose in una:
È un libro su Achmatova, autobiografico, sulla passione, il potere, la pace, la guerra, la censura, la crudeltà, l’ipocrisia, ma soprattutto sulla poesia e il suo essere indispensabile alla vita.
E’ un libro d’amore per la Russia, di cui con, parole sue, ci avvisa di essere “un appassionato e non un esperto”; è un libro che racconta cosa significa essere un poeta nella Russia del XX secolo e contemporaneamente ci racconta di noi, cittadini italiani del XXI secolo.
“Quel verso lì di Anna Achmatova, Vi avverto che vivo per l’ultima volta, se riuscissimo a ficcarcelo dentro la testa e a renderci conto, sempre, che le persone con le quali abbiamo a che fare vivono tutte per l’ultima volta, forse non saremmo così coglioni [...]”
Giocando con le parole, in questo caso con il cognome dell’autore, un “memento mori” per tutti noi, un invito accorato a ricordarci quanto la nostra vita sia preziosa, fragile e irripetibile.
E di quanto la poesia stia li per ricordarcelo:
"Noi, poeti, siamo nudi, si vede tutto, perciò
dobbiamo preoccuparci di sembrare decenti”.
Anna Achmatova, nata vicino a Odessa nel 1889 morta a Mosca nel 1966. in realtà si chiamava Gorenko. Cambiò il cognome con quello di una nonna di nobile origine tartara, perché il padre, ingegnere navale, considerava disonorevole che la figlia scrivesse poesie. Il 1989, centenario della nascita, è stato dichiarato dall’UNESCO Anno di Anna Achmatova.
Il registro finemente ironico e a tratti umoristico di Nori, stempera la drammaticità degli eventi e fa scivolare il lettore in un ciclico contrappunto, tra il narratore e i personaggi. “Anna Achmatova, conoscerla, non sono per niente sicuro che le sarei stato simpatico, e sarebbe stato un dispiacere, essere antipatico a Anna Achmatova, e non sono nemmeno sicuro che lei sarebbe stata simpatica a me".
“Se sapeste da che spazzatura crescono i versi”.
Per Achmatova, la poesia ci ricorda costantemente il terribile e il meraviglioso della vita.
Ultimo brindisi Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita brutta
alla solitudine quando eravamo in due
anche a te, bevo.
All’inganno di labbra che mi hanno tradito,
al gelo morto degli occhi,
a un mondo crudele e volgare,
a un Dio che non ci ha salvati.
Allo stesso tempo “Il poeta è quello che muove la rivolta delle cose. Ed è quello che vince l’abitudine, che forza il proprio sguardo a guardare il mondo come se lo vedesse per la prima volta”. Secondo Sklovskij “ le poesie dell’Achmatova sono un raggio di sole che penetra in una stanza buia, la stanza nella quale ci troviamo un po’ tutti, con il nostro sguardo distratto, di persone convinte di conoscerle, le proprie stanze le proprie cucine, le strade che percorrono per andare a lavorare, convinte di non avere niente da imparare, nella propria casa, nella propria città nel proprio mondo.”
Prima di primavera Prima di primavera c'è dei giorni
che alita già sotto la neve il prato,
che sussurrano i rami disadorni,
e c'è un vento tenero ed alato.
Il tuo corpo si muove senza pena,
la tua casa non ti par più quella,
tu ricanti una vecchia cantilena,
e ti sembra ancora tanto bella.
Per Nori “La letteratura russa è stata più forte dell’esercito sovietico, del politburo, del terrore, della guerra, dei gulag, sarà più forte anche dei burocrati occidentali, poveri burocrati occidentali”.
Niente può abbattere la potenza della parola poetica
Per una terribile sincronicità, mentre Nori stava lavorando al libro è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina e “questa biografia di Achmatova è diventata ancora più urgente e si è mischiata ancora di più con le terribili vicende contemporane [...] man mano che andavo avanti, mi sembrava sempre di più che gli anni che stiamo vivendo assomigliassero agli anni che ha vissuto A.A.”.
Il poema “Requiem” nasce negli anni del terrore staliniano, quando il figlio di Anna Achmatova viene rinchiuso nel carcere delle Croci di Leningrado. Per diciassette mesi vi si reca quasi tutte le mattine per averne notizie, come centinaia di altre donne che trascorrono ore in fila, in attesa, nel gelo. Un giorno, una donna domanda sottovoce ad Achmatova: “Ma questo lei può descriverlo?” . “Posso”, e scriverà, di nascosto, Requiem, il suo capolavoro: 12 canti che raccontano il dramma di un popolo. Sarà pubblicato in Occidente nel 1963 e in Unione Sovietica nel 1987, 21 anni dopo la morte dell’autrice (5 marzo 1966), che aveva scelto di restare nel suo Paese, resistere alla dittatura, alla guerra, agli stenti, e di testimoniare il martirio del popolo russo.
Commovente la narrazione di quando le consegnano un libriccino, fatto con la corteccia di betulla con dei graffiti incisi con le sue poesie, che avevano costruito dei prigionieri del gulag e tenuto con sé durante la prigionia.
Nel 1946 Achmatova fu esclusa dall’Unione degli scrittori per decisione del Comitato Centrale del Partito Cominista Pansovietico. La motivazione: “I suoi versi tradiscono l’inclinazione a una poesia falsa, vuota, su posizioni borghesi, aristocratiche, decadenti e estetizzanti, dell’ arte per l’arte, senza nessuna volontà di andare di pari passo col popolo, sono dannosi per l’educazione della gioventù e non sono tollerabili, nella letteratura sovietica. Mezza suora, mezza prostituta, o meglio sia suora che prostituta,mischia il sesso alle preghiere; questa è l’Achmatova, con la sua piccola, misera vita privata, le sue emozioni insignificanti e il suo erotismo mistico-religioso. La poesia dell’Achmatova è lontanissima dal popolo.”
Nelle parole di Josip Brodskij: “In certi periodi della storia c’è solo la poesia che sia capace di guardare la realtà condensandola in qualcosa di afferrabile, qualcosa che in nessun altro modo la mente riuscirebbe a trattenere […] l’Achmatova era, essenzialmente, un poeta dei legami umani: legami vagheggiati, tesi troncati. All’inizio rappresentò queste fasi attraverso il prisma del cuore individuale, poi attraverso il prisma della storia, di quella che era la storia [...]i suoi versi sopravviveranno perché il linguaggio è più antico dello stato e perché la prosodia sopravvive sempre alla storia.”