È morto a Tel Aviv il 14 giugno scorso all'età di 85 anni Abraham Yehoshua, scrittore israeliano molto amato in Italia e uno dei maggiori scrittori israeliani. 
Yehoshua ha partecipato a tante battaglie della sua epoca, da quella per la pace a quella per la laicità. 

Come Oz o Grossman, Yehoshua si è opposto alla colonizzazione dei territori palestinesi conquistati nel 1967. B’Tselem, l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani di cui faceva parte, ha salutato un intellettuale che aveva “dedicato il suo tempo e la sua energia all’uguaglianza, alla pace e ai diritti umani per tutti”.

Yehoshua ha saputo raccontare la normalità delle relazioni umane. Ma nella sua lode ininterrotta all'essere normali, è cresciuta la sua abilità nel narrare quanto sia impossibile essere normali. 

Yehoshua raggiunse il successo internazionale nel 1977 grazie a L'amante. Una costruzione polifonica che dà voce a sei personaggi, le voci di una famiglia israeliana all'epoca della guerra del Kippur. 

amante_yeohsuha_cop.jpgL'AMANTE 
Sullo sfondo di una Haifa scossa dalla guerra del 1973, si dipana lo scenario de L'amante, il più sinceramente israeliano dei romanzi di Yehoshua. L'autore si affida alle voci dei suoi personaggi, ai loro sogni, ai ricordi, ai desideri, alle aspettative: sono le parole di Adam, agiato proprietario di una grande officina meccanica; le riflessioni della figlia Dafi, quindicenne insonne e ribelle; i sogni della moglie Asya, intellettuale precocemente ingrigita; gli stupori di Na'im, giovane operaio arabo; i vaneggiamenti della novantenne Vaduccia; e infine il resoconto stupefatto di Gabriel, l'amante scomparso. Mondi lontani, a dispetto dell'amore; voci tanto vicine quanto diverse siglano l'impossibilità di conoscere veramente chi ci vive accanto.

 

L'ultimo libro pubblicato poco prima della sua morte è La figlia unica un atto di riconoscimento e di ispirazione al Libro cuore di De Amicis che il padre gli leggeva da bambino.

figlia_unica_cop.jpgLA FIGLIA UNICA
Siamo in una città del Nord Italia, durante le feste di fine anno a cavallo del millennio. Rachele Luzzatto è la figlia unica di una facoltosa famiglia ebraica. Curiosa e irrequieta, spiazzante osservatrice capace con i suoi commenti di ribaltare i luoghi comuni degli adulti, Rachele è però piuttosto confusa riguardo alla propria identità. Da un lato, per prepararsi alla cerimonia del suo Bat Mitzvah, deve impegnarsi nello studio della lingua ebraica, delle preghiere e dei precetti. Dall’altro, i suoi insegnanti la reputano adatta a interpretare il ruolo della Vergine Maria nella recita di Natale. A Rachele piacerebbe partecipare con i suoi compagni di scuola alla rappresentazione, peccato che il padre la pensi diversamente. Convinto della sua fede e dei suoi principî, il padre di Rachele non può accettare che la ragazzina impersoni proprio «la madre di Dio». Ma le ferme idee del padre non sono le uniche ad affollare (e disorientare) i pensieri di Rachele negli anni cruciali per la sua formazione. Ci sono i racconti, avventurosi e terribili insieme, del nonno paterno, spacciatosi per prete in un paesino di mare, per sopravvivere alle persecuzioni durante la seconda guerra mondiale; le convinzioni della nonna materna, atea dichiarata, o la fervente fede di suo marito, cattolico devoto. Quando poi, in quegli stessi giorni di festa e confusione, viene diagnosticata al padre una grave malattia, le inquietudini e le domande di Rachele diventano gli universali interrogativi di ogni essere umano di fronte al mistero. È la prima volta che il grande scrittore israeliano ambienta una storia in Italia, un paese con cui ha una relazione speciale, e di cui si sente quasi «cittadino onorario». E come sempre, le sue parole sono le chiavi giuste per spalancare le gabbie dell’identità e dell’appartenenza.

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