Ossi di seppia - Eugenio Montale - copertinaCento anni di Ossi di seppia e cinquant’anni dal Nobel
Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896, ultimo di sei figli, e muore a Milano il 12 settembre 1981, dove riceve i funerali di stato nel Duomo. Poeta, traduttore, critico musicale e letterario, fu anche bibliotecario e giornalista. Uomo schivo, si è sempre dichiarato lontano dalla figura ufficiale del “poeta”: “non vado alla ricerca della poesia, aspetto di esserne visitato”, scrive, definendosi spesso un “dilettante” nel senso più autentico e libero del termine.

Ossi di seppia: la prima raccolta, il primo sguardo sul mondo
Il 15 giugno 1925, a 29 anni, Montale pubblica la sua prima raccolta, Ossi di seppia, per l’editore Piero Gobetti, dopo aver scartato il titolo iniziale Rottami. La seconda edizione (1928, editore Ribet) include sei nuove poesie e alcune modifiche, come l’eliminazione di Musica sognata e l’inversione tra Marezzo e Crisalide. Nella quinta edizione del 1942, Montale taglierà anche la strofa finale di Vasca.
Nel 1975 riceve il premio Nobel, evento per il quale si celebra quindi, sempre quest’anno, il cinquantesimo anniversario.

Godi se il vento ch’entra nel pomario
 vi rimena l’ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquiario.

Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.

Un rovello è di qua dall’erto muro.
Se procedi t’imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.

Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, -ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

In limine: poesia-exergo della raccolta
In un’intervista del ‘62 affermerà che i suoi primi tre libri (Ossi, Le occasioni, La bufera) sono in definitiva tre parti della stessa autobiografia, “negli Ossi tutto era assorbito dal mare fermentante” dichiarerà Montale, mare, rispetto al quale egli “rimane a terra”. La ricerca è quella di un verso che intimamente aderisca alle caratteristiche della propria terra: “la Liguria orientale – la terra in cui trascorsi parte della mia giovinezza- ha questa bellezza scarna, scabra, allucinante”.
Pier Vincenzo Mengaldo in “L’opera in versi di Eugenio Montale”, pubblicato per la prima volta nel 1995, fornisce una chiave interpretativa imprescindibile dal punto di vista letterario, tecnico, storico e delle fonti per chi voglia approcciare ed approfondire la conoscenza di “Ossi di Seppia” in primis.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
“Non chiederci la parola…” poesia in apertura della sezione “Ossi di Seppia”

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace – uomo che tarda
all'atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d'una leva che arresta
l'ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco d'un sentiero m'ebbi
l'opposto in cuore, col suo invito; e forse
m'occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai.
“Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale…”

Per omaggiare la figura di Montale e celebrare questo doppio anniversario abbiamo scelto di porre l’attenzione tra gli infiniti elementi, connessioni e riflessioni che suscita ancora a cent’anni di distanza, la sua Poesia, ad alcuni che il Poeta stesso ha evidenziato in vari momenti della sua vita. Dal punto di vista lessicale e linguistico, la ricerca della parola esatta, per esempio la terminologia marinaresca o l’uso dei nomi precisi delle specie nel nominare gli animali, l’uso dei dialettismi liguri. La poesia è al presente, in contemporanea o in presa diretta con la fulmineità delle sensazioni mettendo in rapporto diretto esteriorità ed interiorità; gli oggetti del reale stagliati agli occhi della mente come attraverso un microscopio una lente d’ingrandimento
Per quanto riguarda la sua idea di poesia: l’obbedienza, riluttante e irresistibile, a impulsi profondi e che vede il poeta come un dilettante nel senso più puro e alto del termine. In innumerevoli occasioni ha infatti demolito il personaggio-poeta come figura istituzionale. ”Ho sentito alquanto intollerabile il nome di poeta [...] io sono un giornalista e mi manca il tempo di scrivere cose mie” e ancora “io non vado alla ricerca della poesia, aspetto di esserne visitato” (fonte Elio Gioanola “Montale. L’arte è la forma di vita di chi propriamente non vive”.
E ancora dalla sua corrispondenza con Svevo che lo incita a scrivere prose:
“ io di versi ne farò ancora per qualche anno, perché è l’unica forma ch’io sento oggi possibile per me, con l’esperienza di vita che ho io, tutta esclusivamente interna, che potrei dare nel campo narrativo? Sono un albero bruciato dallo scirocco anzi tempo e tutto quello che potevo dare in fatto di grida e sussulti, è tutto negli “Ossi di seppia”. (ibidem)
Per Montale come per Eliot, che il poeta ama e conosce profondamente, il poetico è ricerca di autenticità,  risposta senza compromessi a urgenze emotive cogenti [...] “Ci si chiede se oggi può essere ancora detto artista chi non senta dietro di sé la muta dei cani ululanti che incalza”. 

Il pensiero poetico di Montale
“E’ ancora possibile la poesia?”
Invitiamo alla lettura o all’ascolto del discorso del 12 dicembre 1975 in occasione dell’assegnazione del Nobel, da cui estrapoliamo alcune affermazioni a nostro avviso sorprendentemente attuali.
“Gli accademici di Stoccolma hanno detto più volte no all’intolleranza, al fanatismo crudele, e a quello spirito persecutorio che anima spesso i forti contro i deboli, gli oppressori contro gli oppressi. Ciò riguarda particolarmente la scelta delle opere letterarie, opere che talvolta possono essere micidiali, ma non mai come quella bomba atomica che è il frutto più maturo dell’eterno albero del male.” 

“Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persino disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non poteva amare. [...]non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c’è un largo spazio per l’inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell’inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi. […] Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una merce. 

Quali conclusioni possono trarsi da fatti simili? Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democraticizzandosi nel senso peggiore della parola. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. L’esempio che ho portato potrebbe estendersi alla musica esclusivamente rumoristica e indifferenziata che si ascolta nei luoghi dove milioni di giovani si radunano per esorcizzare l’orrore della loro solitudine. Ma perché oggi più che mai l’uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso? 

“Ormai esistono in coabitazione due poesie, una delle quali è di consumo immediato e muore appena è espressa, mentre l’altra può dormire i suoi sonni tranquilla. Un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo.[...] Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione.  La vera poesia è simile a certi quadri di cui si ignora il proprietario e che solo qualche iniziato conosce. Comunque la poesia non vive solo nei libri o nelle antologie scolastiche. 
Il poeta ignora e spesso ignorerà sempre il suo vero destinatario. […]”

“Nella attuale civiltà consumistica che vede affacciarsi alla storia nuove nazioni e nuovi linguaggi, nella civiltà dell’uomo robot, quale può essere la sorte della poesia? Le risposte potrebbero essere molte. La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti: basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto. Solo in un secondo momento sorgono i problemi della stampa e della diffusione. L’incendio della Biblioteca di Alessandria ha distrutto tre quarti della letteratura greca. Oggi nemmeno un incendio universale potrebbe far sparire la torrenziale produzione poetica dei nostri giorni. Ma si tratta appunto di produzione, cioè di manufatti soggetti alle leggi del gusto e della moda. Che l’orto delle Muse possa essere devastato da grandi tempeste è, più che probabile, certo. Ma mi pare altrettanto certo che molta carta stampata e molti libri di poesia debbano resistere al tempo.“

Eugenio Montale in biblioteca