Malattia dell'anima
 

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IL CORPO ACCUSA IL COLPO. MENTE, CORPO E CERVELLO NELL’ELABORAZIONE DELLE MEMORIE TRAUMATICHE 

 

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VERONIKA DECIDE DI MORIRE
LA CAMPANA DI VETRO
LA FINE DEL BUIO
LE LACRIME DI NIETZSCHE 
L'ALTRA VERITÁ
TUTTO CHIEDE SALVEZZA
RAGIONI PER CONTINUARE A VIVERE
LE PAROLE CHE CI SALVANO

 

corpo_accusa_il_colpo.jpgIL CORPO ACCUSA IL COLPO. MENTE, CORPO E CERVELLO NELL’ELABORAZIONE DELLE MEMORIE TRAUMATICHE, Bessel van der Kolk 

Dedicato ai miei pazienti, che, condividendo le memorie traumatiche impresse nel corpo sono stati il mio manuale.

Autore: Bassel van der Kolk, medico psichiatra, ha fondato il Trauma Center di Brookline nel Massachusetts, è stato professore di Psichiatria alla Boston University School of Medicine.

Il trauma è una rottura, un evento che entra nella vita di una persona con tale intensità da non permetterle di farvi fronte. Guerra, tortura, catastrofi naturali, ma anche grave trascuratezza, abuso fisico e psichico, molestie sessuali, un incidente, una malattia, un lutto, la perdita di qualcosa che diamo per scontato (una relazione, salute, lavoro), Siamo invitati, anche in percorsi di evoluzione personale, a stare nel presente; ma quando la trama dell’esistenza ha subito una rottura, la riattivazione intrusiva di ricordi disturbanti lo impedisce. “Cosa accade nella mente e nel cervello delle persone, in grado di tenerle intrappolate in un luogo da cui desiderano scappare più di ogni altra cosa? Si diventa incapaci di mettere il passato al suo posto. Il trauma è l’esperienza estrema del “durerà per sempre”. 

Un libro importante, illuminante, bellissimo e spesso commovente per nel suo impianto di rigorosa divulgazione scientifica, nato da trent’anni di esperienza clinica iniziata con la presa in carico dei primi pazienti, veterani della guerra del Vietnam e proseguita sino ai nostri giorni. La lettura è già un percorso di autoterapia per la chiarezza, la ricchezza di esempi e casi clinici e non ultima l’empatia dell’autore che ci guida ad esplorare anche i più diversi percorsi di cura. Dalla psicoterapia, le terapie somatiche, l’EMDR, l’ipnosi, lo yoga, il tai chi, qigong, la musica, il biofeedback, esperite in prima persona. “Percepire, nominare e identificare ciò che sta accadendo dentro di noi è il primo passo verso la guarigione”. Prioritario non è stabilire cosa sia esattamente accaduto, ma aiutare a tollerare le sensazioni, le emozioni e le reazioni senza esserne sopraffatti e dirottati. "Per le persone con un PTSD (disturbo post traumatico da stress), un flashback può verificarsi in qualsiasi momento, che siano sveglie o addormentate".

L’obiettivo della terapia è un cambiamento che riorganizzi le esperienze. Dagli anni 90 gli strumenti di neuroimaging hanno iniziato a mostrare come il cervello delle persone traumatizzate venga letteralmente rimodellato. Si parla di “esperienze sopraffacenti”. La memoria traumatica non è organizzata in una narrativa logica e coerente, ma in frammenti sensoriali ed emotivi: immagini, suoni e sensazioni fisiche che intrappolano in un presente sempre uguale.
Secondo l’autore non esiste un “trattamento elettivo”, vari percorsi consentono di ricablare il funzionamento cerebrale, facendo sì che adulti e bambini possano recuperare la padronanza del proprio corpo e della propria vita. La comunità, la musica e il ritmo, la condivisione, le terapie corporee diventano mezzi per aiutare a ricostituire la mappa del cervello, che è la mappa del mondo; finché tale mappa si basa sul trauma sull’abuso e sull’abbandono, le persone cercano scorciatoie che permettano di dimenticare, occorre invece trasformare le narrazioni interiori che guidano e limitano il nostro funzionamento nel mondo. Particolarmente commovente il racconto dell’esperienza terapeutica con i veterani di guerra attraverso il teatro e collaborazione del drammaturgo David Mamet e Brian Doerries, che ha portato alla nascita del progetto Il teatro di guerra  perchè “l’essenza del trauma è l’esperienza dell’abbandono di Dio, dell’esclusione dall’umanità” “Cercare di dimenticare e di nascondere come si possa essere spaventati, arrabbiati o sconfortati è conseguenza del trauma. Fare teatro vuol dire trovare altri modi per dire la verità, trasmettendoli, nel modo più autentico, al pubblico” (Doerries). 
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veronika_decide_morire_cop.jpgVERONIKA DECIDE DI MORIRE, Paulo Coelho ; traduzione di Rita Destileggi_la_recensione_piccola_0.jpg

Autore: Paulo Coelho è nato a Rio de Janeiro nel 1947. È considerato uno degli autori più importanti della letteratura mondiale. Le sue opere, pubblicate in più di centosettanta paesi, sono tradotte in ottantuno lingue. Tra i premi ricevuti dall’autore, il “Crystal Award 1999”, conferitogli dal World Economic Forum, il prestigioso titolo di Chevalier de l’Ordre National de la Légion d’Honneur, attribuitogli dal governo francese, e la Medalla de Oro de Galicia.  

Veronika ha ventiquattro anni, una vita normale, eppure non è felice. Per questo decide di morire, ingerendo una dose eccessiva di sonniferi. Ma il tentativo fallisce e si risveglia tra le mura dell’ospedale psichiatrico di Villete, dove il suo cuore ammalato scopre un universo di cui Veronika non sospettava l’esistenza. Qui conosce Mari, Zedka, Eduard, persone che la gente “normale” considera folli, e incontra il dottor Igor, che attraverso una serie di colloqui cerca di eliminare dall’organismo di Veronika l’Amarezza che la intossica privandola del desiderio di vivere. Veronika spalanca così le porte di un nuovo mondo, un mondo che, attraversato con la consapevolezza della morte, la spinge, sorprendentemente, alla consapevolezza della vita. Fino alla conquista del dono più prezioso: sapere vivere ogni giorno come un miracolo. In questo straordinario romanzo, Paulo Coelho riversa nella storia della giovane Veronika la sua personale esperienza, i ricordi di tre anni consecutivi di ricovero in un ospedale psichiatrico, dove lo scrittore venne rinchiuso solo perché considerato “diverso”. E riesce ancora una volta a mostrare al lettore come il miracoloso e inafferrabile dono della serenità possa essere conquistato in qualsiasi luogo, anche in quelli apparentemente più improbabili. Perché il dono della serenità è nascosto nel cuore di ciascuno di noi.
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campana_vetro_cop.jpgLA CAMPANA DI VETRO, Sylvia Plath ; traduzione di Daria Menicanti ; introduzione di Claudio Gorlierleggi_la_recensione_piccola_0.jpg
 

Autore: Sylvia Plath, nota anche con lo pseudonimo di Victoria Lucas, è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Conosciuta per le sue poesie, scrisse il romanzo semi autobiografico La campana di vetro sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. 

Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un'adolescenza presa nell'ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia. Include sei poesie da "Ariel".

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fine_buio_cop.jpgLA FINE DEL BUIO, Johann Hari ; traduzione di Roberta Zupperleggi_la_recensione_piccola_0.jpg

Autore: Johann Hari, giornalista d'inchiesta e opinionista, scrive per il New York Times, il Los Angeles Times, il Guardian, Le Monde, Slate, New Republic, il Melbourne Age e il Nation. È stato nominato due volte giornalista dell’anno da Amnesty International UK.

Ritrovare i legami con gli altri e con il mondo: un'ipotesi rivoluzionaria per uscire dalla depressione. “La vera strada per la felicità comincia dallo smantellamento dei muri dell'ego, dal permettere a se stesso di fluire nelle storie degli altri e alle storie degli altri di fluire nella tua.” 
Come milioni di persone, Johann Hari ha iniziato giovanissimo ad assumere farmaci per curare la depressione; come milioni di persone ha dovuto arrendersi al fatto che, nella maggior parte dei casi, i farmaci non la curano affatto. La spiegazione «canonica» - che riduce a uno squilibrio nella chimica cerebrale una delle più micidiali, invalidanti patologie del nostro tempo - non bastava a questo giornalista d'inchiesta, specializzato in scienze sociali, che ha intrapreso un viaggio in tutto il mondo per intervistare studiosi di punta, ricercatori, medici e psicologi. Lo scenario che ne è emerso, e che si spalanca in queste pagine, non è solo una diagnosi, ma una sfida: alla scienza, alla società e a noi stessi. Depressione e ansia sono perlopiù l'espressione di un disagio psicologico e sociale innescato da vicende personali e aggravato dalla cultura dell'individualismo, della competizione, dell'incertezza economica, del predominio delle cose sui valori. Per cercare di guarire, allora, bisogna riprendere contatto con tutto ciò che stiamo perdendo o abbiamo perduto: dalle nostre fragilità al senso della comunità, dal rapporto con la natura alla ricerca di un lavoro appagante e di ideali condivisi. Come racconta l'autore, esempi tanto commoventi quanto entusiasmanti di questa rivoluzione necessaria ci sono già, e dimostrano anche a chi non soffre di depressione e di ansia perché la guarigione sia così importante: a beneficiarne sarà infatti, come ha sottolineato Naomi Klein, «il mondo intero».
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lacrime_nietzsche_cop.jpgLE LACRIME DI NIETZSCHE, Irvin D. Yalom ; traduzione di Mario Biondileggi_la_recensione_piccola_0.jpg

Autore: Irvin David Yalom è uno scrittore, psichiatra e docente statunitense, autore di narrativa e saggistica, professore emerito di Psichiatria all'Università di Stanford, e psicoterapeuta di scuola esistenzialista. 

Nella Vienna fin de siècle, abbandonato da Lou Salomé, giovane donna dal fascino incantevole con cui ha condiviso un esaltante ménage à trois, Friedrich Nietzsche, schivo, solitario, asociale, è in preda a una disperazione estrema che gli ha fatto tentare più volte il suicidio. Uno stato che si manifesta con una moltitudine impressionante di sintomi: emicrania, parziale cecità, nausea, insonnia, febbri, anoressia. Gli è accanto Joseph Breuer, stimato medico ebreo, futuro padre fondatore della psicanalisi, che sottopone il filosofo alle sue cure, basate sulla convinzione che la guarigione del corpo passi attraverso quella dell'anima. Reduce dal difficile rapporto con un'altra paziente, Anna O., su cui ha sperimentato un trattamento psicologico rivoluzionario, anche Breuer è in preda a una depressione profonda dovuta alla forte attrazione che prova per la donna, a dissapori matrimoniali, al senso di soffocante prigionia causata dai legami e dalle convenzioni della vita borghese. Tra Breuer e Nietzsche, nel corso di numerose sedute successive, si instaura un dialogo serrato e coinvolgente nel corso del quale il primo cerca invano di arrivare alle radici del male oscuro del filosofo e di indurlo ad aprirgli il cuore. Alla fine, il medico ha l'idea risolutiva: vestiti i panni del paziente e confessando tormenti, pene e preoccupazioni a Nietzsche, riesce a infrangerne l'impenetrabile isolamento e a provocare in lui una liberatoria catarsi emotiva.
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altra_verita_cop.jpgL'ALTRA VERITÁ: diario di una diversa, Alda Merini ; prefazione di Giorgio Manganellileggi_la_recensione_piccola_0.jpg

Autore: Alda Giuseppina Angela Merini nota semplicemente come Alda Merini (Milano 1931 –  2009) è stata una poetessa, aforista e scrittrice italiana. 

Un alternarsi di orrore e solitudine, di incapacità di comprendere e di essere compresi, in una narrazione che nonostante tutto è un inno alla vita e alla forza del "sentire". Alda Merini ripercorre il suo ricovero decennale in manicomio: il racconto della vita nella clinica psichiatrica, tra elettroshock sguardo della poetessa su questo inferno, come un'onda che alterna la lucidità all'incanto. Un diario senza traccia di sentimentalismo o di facili condanne, in cui emerge lo "sperdimento", ma anche la sicurezza di sé e delle proprie emozioni in una sorta di innocenza primaria che tutto osserva e trasforma, senza mai disconoscere la malattia, o la fatica del non sentire i ritmi e i bisogni altrui, in una riflessione che si fa poesia, negli interrogativi e nei dubbi che divengono rime a lacerare il torpore, l'abitudine, l'indifferenza e la paura del mondo che c'è "fuori".

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tutto_chiede_salvezza_cop.jpgTUTTO CHIEDE SALVEZZA, Daniele Mencarellileggi_la_recensione_piccola_0.jpg

Autore: Daniele Mencarelli (Roma, 26 aprile 1974) è un poeta e scrittore italiano.

Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali.
Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura.
Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. 
Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un'umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.
Dopo l'eccezionale vicenda editoriale del suo libro di esordio - otto edizioni e una straordinaria accoglienza critica (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima) -, Daniele Mencarelli torna con una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta. E mette in scena la disperata, rabbiosa ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: "Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza".
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ragioni_per_continuare_a_vivere_cope.jpgRAGIONI PER CONTINUARE A VIVERE, Matt Haigragioni_per_continuare_a_vivere_eb.jpg

Matt Haig è uno scrittore e giornalista inglese, collaboratore di alcune delle più importanti testate giornalistiche britanniche (The Guardian, The Indipendent etc.). 

In Ragioni per continuare a vivere l’autore racconta se stesso, Matt Haig propone in ottica normalizzante la sua storia personale di depressione, con inserti di dialogo con se stesso, il sé di allora e il sé di oggi. Gli affetti intimi e familiari fanno da cornice a un racconto meditativo sulla mancanza, mancanza del futuro, dove il tempo presente, è fermo e si vive nel passato. Un mondo dove ogni cosa è mediocre e insoddisfacente, un mondo senza speranza, dove l’aiuto delle persone che lo amano riesce ad accendere una scintilla che illumina i momenti bui, conscio della possibilità di averne ancora, ma che ciò costituisca solamente una piccola parte dell’essere.
Non trovo niente a cui aggrapparmi, tutto mi sfugge. La vita è così infinitamente difficile. Bisogna fare mille cose insieme. E io sono mille persone diverse.

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parole_che_ci_parlano_cop.jpgparole_che_ci_parlano_cop_eb.jpgLE PAROLE CHE CI SALVANO, Eugenio Borgna

Eugenio Borgna è uno psichiatra e accademico italiano. È una persona caratterizza da un’estrema sensibilità e questo può essere colto dalla sua scrittura, così tanto nei saggi quanto nei suoi libri Borgna sottolinea l’importanza di un ascolto empatico e non giudicante.

In Le parole che ci salvano l’autore racconta la fragilità della malattia, una malattia fisica e mentale, quest’ultima definita da Borgna come malattia dell’anima. Ogni tipo di sofferenza dovrebbe essere accompagnata dalle parole giuste, non esiste un ricettario di parole da usare per qualsivoglia esperienza di vita. Ciò che è auspicabile percorrere è la strada della sensibilità, sensibilità come accoglienza, sensibilità come esperienza dell’incontro con l’altro. Quanto è difficile l’ascolto dell’altro in un mondo in cui si è continuamente costretti a correre e molto spesso non si ha il tempo nemmeno di ascoltare se stessi?
 

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