Tu non mi caccerai via in nessun posto: 
non si respinge la primavera! 
Tu non mi toccherai, nemmeno con un dito: 
troppo teneramente io canto verso il sonno. 
Tu non mi diffamerai:
il mio nome è acqua per le labbra!
Tu non mi lascerai:
la porta è aperta, e la mia casa è vuota!

“Io devo essere amata in modo del tutto straordinario per poter amare straordinariamente” (lettera a Bachrach del 9 settembre 1923). 
I destinatari delle sue poesie sono uomini e donne, sconosciuti, familiari e amici, reali o idealizzati: il marito Sergej Efron, la poetessa Sof’ja Parnok, i poeti Blok, Kuzmin e Pasternak, amanti avuti negli anni dell’esilio (1922-1939) che non si sono mai rivelati all’altezza di una donna che chiedeva all’altro “il miracolo”
“Io non sono fatta per la vita. In me tutto è incendio! […] Io sono una creatura scorticata a nudo, e tutti voi portate la corazza. Tutti voi avete: l’arte, la vita sociale, la famiglia, il dovere, io, nel profondo, non ho NUL-LA. Tutto cade come pelle, e sotto la pelle carne viva, o fuoco – io: Psiche.”

“Mi hai guardata come gli altri non fanno
al primo incontro.
Neri occhi hanno inghiottito il mio sguardo.
Dritte ho tenuto le ciglia, immobile.
- Bè, ti piaccio? -
E intanto dentro di te mi riversavo.
Tutta la pupilla ti ho allagato.
E immobile – io.
E fluisce l’anima tua nella mia
(Versi per Blok)

Nata a Mosca l’8 ottobre 1892, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev, professore di Belle Arti all'Università di Mosca, e Marija Aleksandrovna Mejn, eccellente pianista, Marina Cvetaeva scrisse le prime composizioni all'età di 6 anni.
 «Dopo una madre così non mi restava che divenire poeta». L’ambiente familiare è ricco di sollecitazioni coltissime. Emigrò prima a Berlino e poi a Praga nel 1922. Si trasferì a Parigi nel novembre 1925. Tornò a Mosca insieme al figlio  nel 1939, con la speranza di ricongiungersi al marito, poi arrestato e fucilato. In uno stato di estrema povertà e di isolamento, il 31 agosto 1941 s'impiccò nell'ingresso dell'izba che aveva affittato da due pensionati nel villaggio di Elabuga, sulle rive del fiume Kama.
Avrebbe desiderato giacere a Tarusa, sotto un cespuglio di sambuco, «dove crescono le fragole più rosse e più grosse», ma viene sepolta in una fossa comune. La riabilitazione della sua opera letteraria e la pubblicazione di molte sue opere avvennero solo a partire dagli anni sessanta, vent'anni dopo la sua morte.

i miei versi scritti così presto
Ai miei versi scritti così presto,
che nemmeno sapevo d’esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.

La poesia della Cvetaeva unisce l'eccentricità a un rigoroso uso della lingua, non priva di metafore paradossali. Durante la prima fase creativa, la Cvetaeva risentì dell'influenza di Majakovskij , in seguito  si accostò maggiormente sia a Pasternak sia all'animo poetico di Puškin.
Marina “inventa” le persone, le investe con l’uragano della propria passione, per poi scoprirne l’umana mediocrità con la conseguente disillusione. Questo meccanismo ha bisogno di alimentarsi per vivere e per creare, «come una grandissima stufa che per funzionare ha bisogno di legna, legna, legna».  

«Io mi sono sempre fatta in pezzi, e tutti i miei versi sono, letteralmente, frammenti argentei di cuore» Ricordiamo la straordinaria corrispondenza con Boris Pasternak e con Rainer Maria Rilke in cui l’assenza diventa un vantaggio perché l’altro, amato, interiorizzato, diventa più intero nell’anima. 
Nel 1926, dopo la morte di Rilke, aveva scritto “Io e te non abbiamo mai creduto nel nostro incontro qui sulla terra – come non abbiamo mai creduto in questa vita, non è vero?”
Nel 1941 Marina incontra Anna Achmatova. Le due donne, pur stimandosi, sono troppo diverse, solo unite dal dolore per la sorte dei propri cari.
Nell’ultimo anno di vita la Cvetaeva  strinse una relazione sentimentale col poeta Arsenij Tarkowskij. Per lui Marina fu l’incontro più importante della vita, mentre per l’ormai disillusa poetessa lui non avrebbe rappresentato che uno dei suoi tanti sogni “sfatati” nel momento del risveglio: “Il mio modo preferito di comunicare è ultraterreno: il sogno – vedere in sogno”. 

Le Biblioteche civiche di Padova vi consigliano:

Marina Cvetaeva in GalileoDiscovery            Marina Cvetaeva su MLOL